IL MESSAGGERO 15 Aprile 2017
IL COLLOQUIO Elias Canetti, racconta Claudio Magris, quando non voleva essere disturbato, si spacciava al telefono per la governante. Lo stesso faceva un altro grande Nobel della Letteratura, Isaac Bashevis Singer, che per filtrare le telefonate importune nella sua casa di New York fingeva di essere un altro e di andare a vedere se l’ interessato fosse disponibile. Gli esempi di grandi che si celano al mondo sono tanti, così come quelli di grandi davanti a cui sembra invece il mondo a celarsi. E così accade che un grande fotografo, Enzo Ragazzini (romano del 1934) esponga gli scatti di una vita in una retrospettiva nel Castello di Sarteano. Idea lungimirante del sindaco Francesco Landi che è riuscito a strappare per il Comune senese anche la collaborazione col prestigioso MIA di Milano. La mostra è articolata sui 4 piani – collegati da scale ripidissime – di questo gioiello medioevale cui si accede per una stradina altrettanto impervia, e raccoglie 170 fotografie dell’ opera sterminata di Ragazzini. Un bel catalogo con testi dello stesso autore e una prefazione di Paolo Pellegrin, fotografo star della Magnum, accompagna la mostra, aperta fino al 9 luglio. Per il giovane Pellegrin, Ragazzini era un mito, ma il suo primo giudizio sulle sue ambizioni fotografiche, come ricorda, fu devastante: «Questo ragazzo nella vita potrà fare di tutto ma non il fotografo». Poi il ragazzo si riscattò e Da allora Enzo e Paolo sono amici inseparabili. Ragazzini ha spaziato fra Londra e Roma viaggiando in tutto il mondo, nei luoghi più remoti. Eppure, non è un fotografo di viaggi, tanto meno di moda, o pubblicitario, sfugge alle etichette. «Non rientro in un canone, sono un grande sperimentatore, un appassionato di scienza, tanto che a Londra (dove ha insegnato tra il 1965 e il 75 nda) ho fatto dei corsi serali di fisica, rifiuto le mode. Mi sento di appartenere alla scuola italiana dei grandi artisti-artigiani, i Leonardo, i Brunelleschi». Nei suoi oltre 60 anni da fotografo ha realizzato grandi progetti, incontrato personaggi straordinari e vissuto la vita a mani piene: amicizia, libertà, anticonformismo hanno orientato la sua stella polare, assieme agli amori – a cominciare dalla sua compagna di una vita, Bettie, e al figlio Giuseppe, affermato visual artist – al mare e alla Grecia. Ancora oggi fissa il presente con la passione di un ragazzo: «Mi sembra di giocare, mi diverto in camera oscura o a fotografare fuori, è come andare a caccia, non a caso si dice catturare immagini». FRAMMENTI DI STORIA La mostra parte dagli anni ’50 fino ad oggi, suddivisa in diverse sezioni. I tropici prima del motore, La fatica dell’ Uomo – reportage straordinario proposto all’ Iveco negli anni ’80 nei paesi del globo dove il lavoro si faceva senza macchine. Il quartiere Sanità, viaggio nella Napoli dei bassi nel 1976, universo di prostitute, contrabbandieri e guardoni fatto di povertà e umanità. Il mercato del Covent Garden, le periferie a Londra, Hyde Park e il festival pop dell’ Isola di Wight. Un reportage a Mosca negli anni ’60 in piena guerra fredda (ci sono anche le foto della moglie di Nikita Krusev, Nina, e della cosmonauta Valentina Tereskova). Il Museo Guatelli, inconsapevole inventario di arte povera, microcosmo di quel geniale collezionista di attrezzi dismessi della Padania che fu Ettore Guatelli. Il mondo surreale delle Creature, figure concepite in parte dalla natura (legni, pietre, fango) e in parte in laboratorio (camera oscura o processo di stampa). La sezione Sperimentazione in camera oscura che va dai primordi della Op Art (di cui è stato un precursore negli anni ’60) fino ad oggi. E il capitolo Aspettando Godot che raccoglie le foto di semplice gente alle fermate dell’ autobus, illuminanti testimonianze antropologiche della nostra società. Ma per capire veramente questo artista poliedrico (anche se lui non ama per sé la parola artista), bisogna entrare in camera oscura: è lì che Enzo Ragazzini, dall’ inizio degli anni ’60, comincia a creare la sua arte: sperimentazione su percezione e fenomeni ottici. Dosando, miscelando luci, lastre, acidi, pellicole e retini, crea il suo laboratorio di alchimista del colore. È qui prende il via la sua carriera, quella di reporter è arrivata dopo. Progetti di immagine e comunicazione, reportage, libri per Fiat, Olivetti. È stato il più grande fotografo industriale italiano e parallelamente, spesso solo di sua iniziativa senza committenza, ha fatto reportage antropologici. Qualche modello o amico? «Sono un grande ammiratore di Bill Brandt, Helmut Newton è bravissimo ma commerciale. Il grande Brandt che aveva lasciato la Germania e viveva a Londra, mi venne addirittura una volta a trovare al mio studio portato dal fratello: è stato un grande maestro, un modello. Altro grandissimo è il brasiliano Sebastiao Salgado». Da ragazzo il primo maestro di vita fu Cesare Zavattini: «Ero compagno di classe del figlio al Giulio Cesare ed ero sempre a casa loro in Via Sant’ Angela Merici a Roma. Una casa piena di quadri e di libri, ci sono passati grandi come Charlie Chaplin e Che Guevara. Zavattini soffriva di insonnia e quando aveva un’ idea, dato che spesso noi tiravamo fino a notte fonda, veniva nella nostra stanza a illustrarcela». GLI AMICI NON CI SONO PIÙ Quanto agli amici, «quelli di una vita sono stati, Enzo Muzii, Boris Biancheri e Vittorio Sermonti, ahimé tutti morti». Non più qui, come suo padre: «Mi incoraggiò. Era un uomo forte e severo che mi adorava ma che ce l’ aveva con me perché avevo lasciato l’ Università. Fu lui che mi diede la prima macchina fotografica, di legno attaccata a una lanterna portatile per fare le prime stampe. Una volta dopo un anno di silenzio perché mi ero rifiutato di lavorare con lui, mi venne a trovare in uno sgabuzzino che attrezzai in camera oscura. Vide alcune mie sperimentazioni e disse bravo, avrò avuto 24 anni». Nel suo catalogo c’ è di tutto ma a lungo si è tenuto alla larga dai ritratti? «All’ inizio i volti erano oggetti da fotografare con la luce migliore, mi imbarazzava avere un rapporto psicologico con il soggetto. Solo molto tempo dopo le facce sono diventate un elemento drammatico fondamentale». Progetti particolari cui è affezionato? «Sono molto orgoglioso de La Fatica dell’ Uomo del 1980, un tema ripreso poi, 20 anni dopo, da Salgado con Il Lavoro dell’ Uomo». Adesso, avvicinandosi la gloriosa soglia degli 85, Ragazzini continua entusiasta il suo lavoro alla serie Aspettando Godot, raccolta di ritratti di gente comune, per strada o in attesa dell’ autobus: «mi commuovono, una collezione di volti che raccontano una dolorosa routine, un rapporto con la città assolutamente negativo». Flaminia Bussotti © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Sono un vecchio amico di Enzo Ragazzini, conosciuto a Londra e frequentato negli anni 60 a Roma. mi piacerebbe reincontrarlo o parlargli, potete inviarmi la sua Mail e/o il numero di telefono???
Mi spiace tanto per il ritardo della mia risposta. Ecco i contatti di Enzo richiesti: enzoragazzini@gmail.com; cell: 347-3650177.
Cari saluti, FB.