IL MESSAGGERO 28 Luglio 2018
IL FENOMENO RAVENNA «Ragazzi, le sorti dell’Italia sono nelle vostre mani»: è un Riccardo Muti appassionato, ma anche velato di pessimismo, quello che cerca di trasmettere ai giovani della Italian Opera Academy gli insegnamenti maturati in 50 anni di carriera su come si prepara una compagnia di canto per un’opera italiana. Il maestro si spende senza risparmio per tener viva la grande tradizione italiana, che vede minacciata. L’Academy è molto più che una master class, è l’iniziazione al metodo Muti, simile a quello del grande Lee Strasberg all’Actors Studio. Muti spiega il legame fra musica e parola, l’interpretazione dei personaggi, la dizione, il rapporto direttore-orchestra, l’intenzione teatrale da trasferire nel suono. Ma la sua è anche una lezione di comportamento e di stile: la consegna di una tradizione che, al di là delle distorsioni da lui aborrite per concessioni al pubblico o capricci dei registi, egli ha ricevuto dai suoi maestri che portano fino a Toscanini, e che rischia di perdersi. Visto che è anche uno straordinario uomo di teatro e narratore, le sue lezioni sono anche un grande spettacolo. DUE SETTIMANE Dopo Falstaff, Traviata e Aida, quest’anno si studia Macbeth. Due settimane di prove fino al 30 luglio al Teatro Dante Alighieri di Ravenna per scrutare i segreti del capolavoro di Verdi, decima opera del compositore venerato da Muti. Si scava, si prova e si riprova per arrivare a quel suono e quella voce che caratterizzano l’ opera italiana. Il maestro è infaticabile, paziente e inesorabile: fino a che non ottiene il risultato voluto, è capace di insistere su una nota o un accento fino allo sfinimento. Molte strigliate, ma anche molti incoraggiamenti: un maestro severo ma generoso, che dosa con sapienza bastone e carota. Oltre 200 le domande da tutto il mondo di aspiranti direttori e maestri collaboratori. Quattro e quattro i vincitori: tre americani (Pak Lok Alvin Ho, originario di Hong Kong; John Lidfors, Wilbur Lin, originario di Taiwan) e un ucraino (Oleksandr Poliykov). Tre italiani (Alessandro Boeri, Andrea Chinaglia, Luca Spinosa) e una coreana (Jeong Jieun). Età: 21-33 anni. Si comincia con la presentazione dei vincitori e dei cantanti Serban Vasile (Macbeth), Victoria Yeo (Lay Macbeth), Riccardo Zanellato (Banco), Giuseppe Distefano (Macduff) e con una introduzione di Muti dell’opera. Sala gremita con molti studenti dei conservatori. L’1 e il 3 agosto, il concerto con l’Orchestra Luigi Cherubini in brani dal Macbeth diretti da Muti e i quattro giovani direttori. Un po’ in inglese, italiano e anche – al capitolo battute – in napoletano, Muti spiega e corregge spaziando fra piano, podio e orchestra. Gli allievi lo seguono un po’ atterriti all’inizio, poi sempre più sciolti: è una girandola di insegnamenti, segreti, scavi nell’opera ma anche di battute e aneddoti per allentare la tensione. Bene, molto bene, very good, dice spesso, sfoggiando anche il tedesco noch einmal (di nuovo). Insiste sull’importanza della parola: «In Verdi il rapporto fra parola e musica è perfetto», «il poeta è per lui più importante del compositore». Ricorda di quando Verdi fece provare 150 volte un duetto e a chi glielo fece notare, rispose: «E questa sarà la 151esima». Ogni volta che parla del destino, come il tema circolare delle streghe in Macbeth, Verdi usa un cerchio, è così in Forza del destino, Rigoletto, Trovatore. In Macbeth è importante il sottovoce, il suono muto, il colore scuro. «Qui non esiste l’amore, c’ è la sensualità». Un maestro collaboratore che tenta di spiegarsi con gran giro di parole, viene trafitto: «lei deve dare indicazioni, non si preoccupi di me, io sono un improvvisatore», «bisogna andare subito al punto, i cantanti devono usare poche parole, non sono avvocati». Poi se la prende con una certa tradizione, responsabile di molti scempi nell’esecuzione, e con le troppe licenze della regia. I registi spesso non sanno leggere la partitura e devono farsela spiegare dai maestri collaboratori. Uno strale va alla vulgata del zum-pa-pa con cui spesso si ridicolizza l’opera italiana all’estero, ma non solo: «È un crimine». Se fosse Schubert, dice suonando al piano, si farebbe così, e Verdi invece si fa così (um-pa-pa). IL PAESE DELL’ OLIO L’Italia, dice con stoccatina al mondo tedesco, è il «Paese dell’olio di oliva non della sugna». L’interprete di Macbeth, che ha sparato un acuto di troppo, lo gela. «Hai svegliato tutte le streghe, hai un bellissimo piano, usalo», ma poi Muti incoraggia il giovane baritono romeno: «Sei bravo, tu ce la farai un giorno». Rivolto ai direttori dice: «Non aprite la bocca» (moda diffusa oggi) e controllate il braccio, non si dirige col gomito ma col polso, e guardate negli occhi i musicisti. A uno di loro blocca le gambe, goffamente piegate sul podio, e ad un altro agguanta la mano destra coprendola con la sua per mostrargli come si fa. A un altro ancora, imbalsamato nella postura, gli massaggia le spalle. L’ orchestra la sferza dicendo: «Fate un suono umano, sembra un lago di rane». E un tenore baldanzoso lo redarguisce: «Ti ho visto le tonsille, non spalancare la bocca come un ippopotamo, hai una bella voce, espressiva, non forzarla». A dispetto di un programma massacrante, Muti sembra un vulcano con più fuoco degli allievi. Ma dietro tanta energia, balenano lampi di malinconia, e il timore di parlare al vento: «Sono anni che mi batto, continuiamo sperando che fra 200 anni qualcosa cambi». Flaminia Bussotti © RIPRODUZIONE RISERVATA.