Dominique Meyer: “Voglio una Scala serena con tanta musica italiana”, intervista

IL MESSAGGERO 14 Dicembre 2019

VIENNA Alsaziano di nascita, padre diplomatico, madrelingua francese ma fluente in italiano e tedesco, Dominique Meyer, 64 anni, a marzo si insedia alla Scala di Milano dopo dieci anni al comando dell’Opera di Vienna. Con sé porta come coordinatore artistico il fedelissimo altoatesino André Comploi, 37, ora portavoce del teatro. A Vienna lascia un teatro in salute e un attivo in cassa da brividi, più 16 milioni di euro al successore. Questi giorni la Staatsoper ha registrato un grande successo alla prima di Orlando, tratta dal romanzo di Virginia Woolf, opera commissionata per la prima volta a una donna, Olga Neuwirth. «Questo teatro è bene organizzato, ha pubblico, e i risultati sono positivi», dice Meyer, incontrato a Vienna. In diplomazia, per i maligni, il predecessore è un incapace e il successore un ingrato: vale anche per lei? «Non ho mai parlato male dei colleghi. Sono sempre stato molto attento ai rapporti con predecessori e successori perché noi non siamo i proprietari dei teatri dove lavoriamo. Si deve rispetto al passato, attraverso il sovrintendente parla il teatro. Bisogna consegnare al successore un teatro ottimale. Penso che a Milano (con Alexander Pereira, ndr.) lo abbiamo fatto bene, in modo corretto, rispettoso ed elegante». Da mesi fa la spola Vienna-Milano: che situazione ha trovato fra conti, personale e programmi? «Ho passato tanto tempo a studiare La Scala, i conti, la sua storia recente. Dai bilanci si capisce molto del teatro e il risultato lo tengo per me. È chiaro che la programmazione della stagione è fatta e sto lavorando ai programmi per vedere quel che si può fare o cambiare. Fra pochi mesi presenterò al Cda il mio piano e prepareremo in concreto il programma triennale. Sono stato accolto molto bene, ho sentito voglia di fare squadra, una cosa molto importante per me». Intende procedere a Milano come a Vienna? Che clima vuole creare alla Scala? «Già alla prima riunione ho esposto alcune regole per me importanti. A Vienna c’era un teatro molto nervoso: io volevo un luogo armonioso, familiare e rispettoso e sono stato capito. Saper distinguere fra ciò che è importante e urgente e ciò che non lo è. Se c’è un errore, invece di perdere tanto tempo a cercare il colpevole, meglio trovare soluzioni; parlare con lo stesso rispetto con tutti, dal portiere alle star. Senza grida e con educazione: dire buongiorno, per favore, grazie. Alla Scala vedo la voglia di comportarsi così». Qual è il bilancio dei suoi dieci anni a Vienna? «Abbiamo allargato senza precedenti il numero di compositori e opere, il ciclo di Janacek mai fatto prima, tante opere del 900 e tanta musica contemporanea, come Orlando. Siamo riusciti ad aumentare il pubblico del 99 per cento, i ricavi dei biglietti sono passati da 28 milioni di euro nel 2010 a 37,5. E lascio 16 milioni al mio successore. Alla Scala col pubblico non è facile: Milano è più piccola (1,4 milioni) e ci sono meno potenziali spettatori. A Vienna il 70 per cento sono locali e il resto stranieri, un buon equilibrio». A quale programmazione pensa per la Scala? «L’opera italiana dovrà essere centrale. Non dico che non si debbano fare titoli francesi, tedeschi, russi o cechi ma ho l’impressione ci sia grande attesa di repertorio italiano e la voglia che la Scala sia il punto di riferimento per l’interpretazione italiana. Non solo repertorio dell’800 ma anche barocco. Vorrei portare come ai tempi di Riccardo Muti quello italiano ed opere napoletane e veneziane». A proposito di Muti, si sa che sogna di riportarlo alla Scala. «È ancora un sogno, avremo tempo per parlare. Per me non importa con quale titolo, quello che vuole. Mi piacerebbe che ci fosse di nuovo intesa, una rappacificazione, è passata tanta acqua sotto i ponti. Penso venga un momento in cui vorremmo tutti essere felici insieme con il pubblico». Le sue ultime battute a Vienna saranno scintillanti e anche la sua festa di addio a giugno? «A maggio Muti con Così fan tutte (la coproduzione di Napoli con regia di Chiara Muti). Poi molto Verdi e una prima del Ballo in maschera (dirige Mariotti, con Meli, Tezier, Stojanova) contemporanea con la Scala. A febbraio un nuovo Fidelio nella versione originale. Per il mio addio una cosa speciale: un gala con tutti i cantanti giovani presi negli anni che sono cresciuti e hanno fatto carriera: una riunione di famiglia. Chiuderò poi col Falstaff con la regia di McVicar e diretto da Zubin Mehta». Flaminia Bussotti © RIPRODUZIONE RISERVATA.

 

Vedi Articolo IL MESSAGGERO 12.12.2019

2 pensieri riguardo “Dominique Meyer: “Voglio una Scala serena con tanta musica italiana”, intervista

  1. Congratulazioni Domenique per questo ottimo articulo e molti auguri per il finale a Vienna e per il futuro a La Scala , Grischa

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