Il Drago del Reno, la staffetta europea Merkel-Draghi

IL FOGLIO 7-8 Agosto 2021

Berlino – Il 26 settembre finisce il mandato di Angela Merkel, anche se dopo le legislative la cancelliera resterà ancora qualche mese in carica per il disbrigo degli affari correnti fino all’insediamento di una nuova coalizione di governo in Germania. Fra meno di un anno, nell’aprile 2022, si terranno le prossime presidenziali in Francia ed Emmanuel Macron, già penalizzato alle recenti amministrative, non è affatto detto che sarà riconfermato. In Gran Bretagna, la Brexit ha sancito il congedo definitivo dell’Isola dal Continente e dall’Ue. Nulla di più logico, quindi, in una situazione fluida e incerta in Europa, che Mario Draghi – asset di lusso italiano riconosciuto in tutto il mondo, iniziato negli otto anni alla guida della Bce a tutti i segreti e le insidie dell’Unione europea, nonché possessore di una rubrica telefonica planetaria – venga visto come il naturale candidato a occupare il posto lasciato vacante dalla donna che in 16 anni al potere ha cambiato la Germania e pilotato l’Europa, eletta 14 volte da Forbes donna più potente del mondo. Sull’ipotesi di una staffetta Merkel-Draghi si ragiona da tempo in Italia, sin dal suo arrivo al governo cinque mesi fa, con un misto di speranza e entusiasmo. Meno, invece, in Germania. Anche se il suo ingresso sulla scena politica nazionale è seguito sin da febbraio con grande attenzione da osservatori e media e, dalla prospettiva tedesca, con contabile acribia dei pro e dei contra.

Il principale ostacolo a una ipotetica successione di Draghi alla Merkel in Europa è l’Italia: la credibilità del sistema, il ritardo nelle riforme e la pecca di Paese fortemente indebitato (i peggiori in Europa dopo la Grecia con un rapporto debito-Pil salito con la pandemia al 160%) fanno da zavorra.

Il politologo Albrecht von Lucke, direttore editoriale del mensile Blätter für deutsche und internationale Politik, quaderni di politica tedesca e internazionale, è cauto sull’ipotesi che Draghi prenda il posto della Merkel: “Innanzitutto bisogna capire quale è il posto della cancelliera in Europa”. A suo avviso, “la forza motrice è stata semmai Macron, lei è stata al rimorchio e per molti versi una delusione. Anche sul Recovery Plan non voleva essere l’avanguardia, ha ceduto e accettato di fare debiti per l’Italia perché aveva paura che l’Europa crollasse”. Nel negoziato “la Merkel era dalla parte dei paesi frugali, dell’Olanda e del premier Mark Rutte. Alla fine ha cambiato idea, ha fatto da ponte fra il Nord e il Sud, nel timore che l’Ue si disgregasse, ha accettato il Recovery Plan deludendo l’Olanda”. A differenza di Wolfgng Schäuble, l’ex ministro delle finanze guardiano dell’austerity, “Merkel ha sempre avuto un buon rapporto con Draghi: erano sulla stessa linea, anche se lei non l’ha mai ammesso, sulla politica fiscale e anche sulla Brexit, ma il ruolo di motore lo ha svolto Macron”. Certo, aggiunge, con la sua uscita di scena il suo posto resta vacante, soprattutto in politica estera: Merkel era per così dire la vicaria di Obama con Trump. Difficile però che Draghi prenda il suo posto a causa dell’immagine dell’Italia.

Già quando era al vertice della Banca centrale europea, Draghi era divisivo in Germania. Nessuno ha mai messo in dubbio le sue competenze di banchiere e il suo profilo professionale e morale. Ma la sua politica monetaria espansiva, i tassi congelati, quel “what ever it takes” con cui ha salvato la moneta unica, il Quantitative Easing (QE), l’acquisto di titoli di Stato dei paesi in difficoltà nella crisi dell’euro – che, dopo vari ricorsi, arrivò fino alla Corte Costituzionale di Karlsruhe – erano visti dalla maggioranza dei tedeschi come il fumo agli occhi perché vi vedevano solo gli effetti negativi (zero interessi per i risparmiatori) tralasciando quelli positivi (export alle stelle col cambio basso dell’euro). Draghi bestia nera dei risparmiatori, Draghi “Mamma mia”, il refrain al suo arrivo all’Eurotower a novembre 2011. La Bild, sismografo delle viscere e del Paese, salutò Draghi con un bel “Mamma mia: per gli italiani l’inflazione appartiene alla vita come il sugo sulla pasta”! E poi ancora negli anni le continue schermaglie con il presidente della Bundesbank, membro del board della Bce, Jens Weidmann, custode dell’ortodossia monetaria, sostenuto dalla maggior parte degli economisti e opinionisti tedeschi. Le riserve sono le stesse riecheggiate ora con il varo del programma di aiuti agli stati membri dopo la pandemia, con il quale per la prima volta l’Europa accetta il principio del debito comune per far fronte all’emergenza: altra bestia nera dei tedeschi. Come sempre quando si tratta di denaro, i tedeschi affinano le antenne e si sentono coartati nel ruolo di benefattori loro malgrado. La storia e la psicologia aiutano a capirne le ragioni, ma non c’è dubbio che questo atteggiamento è profondamente radicato e condiziona fortemente anche le scelte della politica. Per un Paese che, dopo il trauma della guerra e del nazismo, ha fatto della stabilità la propria bandiera, l’Italia incarna il pericolo da scongiurare. Dalla fondazione della Repubblica Federale nel 1949, in Germania – dove la Costituzione, forte della lezione di Weimar, impedisce crisi al buio e prevede per questo lo strumento della sfiducia costruttiva in Parlamento (in assenza di una coalizione alternativa, niente caduta di un governo) – si sono succeduti finora otto cancellieri e 24 governi e solo tre volte si è andati a elezioni anticipate. In Italia, quello di Draghi è il 67/o governo. Stabilità, austerità, legalità è la triade, parecchio luterana, impressa vividamente nel Dna tedesco dal dopoguerra a oggi, che nel bene e nel male funge da bussola per la classe politica e da metro di consenso, o sanzione, dell’operato del governo nell’opinione pubblica. Tutte virtù che agli occhi dei tedeschi l’Italia non possiede. Da qui le riserve nutrite all’epoca sulla politica espansiva di Draghi alla Bce e, ora, lo scetticismo sul Next generation EU (NGEU) e il Recovery Plan, il piano di rilancio deciso da Bruxelles dopo la pandemia di cui l’Italia, Paese maggiormente colpito dal Covid, è il principale beneficiario con 209 miliardi delle risorse pari al 27% del totale (alla Germania vanno 26 miliardi). Alla base c’è un deficit di fiducia nelle capacità di gestione dei soldi, nutrito dal pregiudizio che vuole il Nord Europa austero e frugale e il Sud spendaccione e inaffidabile, pregiudizio avallato nel tempo da conferme nei fatti. Per i tedeschi è un po’ come recita un noto proverbio, “den Bock zum Gärtner machen” (mettere un caprone a fare il giardiniere o, liberamente, un lupo a pastore del gregge).

La Germania è scettica sul principio affermato con il Recovery Plan di fare investimenti assumendo massicci debiti, osserva Lucke.“Indipendentemente da Draghi, dietro c’è il dubbio che l’Italia non riesca a fare le riforme e che il denaro possa finire in rivoli o nelle mani della mafia e la criminalità organizzata. Questa è una enorme ipoteca che funge da munizione per la destra populista in Europa. C’è però consenso sulla necessità di finanziare gli aiuti perché un fallimento dell’Italia, terza economia dell’Unione, sarebbe un problema per tutti. Argomento questo con un potenziale di ricatto: se non salviamo l’Italia, l’Europa fallisce. Il che ha convinto la Merkel e ampie parti del suo partito a cedere, mentre i liberali sono contrari”.

Sulla stampa, sia conservatrice come la Welt sia liberal come la Süddeutsche Zeitung, il ritornello è più o meno lo stesso sin dall’insediamento di Draghi al governo a febbraio. La politica espansiva della Bce, questo il tenore delle critiche, incentiva i paesi fortemente indebitati come l’Italia a fare ancora più debiti e frena la voglia di riforme. E ora con la pandemia si aggiunge l’aggravante di debiti comuni a piene mani. Quello della mutualizzazione del debito in Europa è lo spettro che terrorizza i tedeschi, paventato soprattutto nello schieramento conservatore formato da Cdu-Csu – l’Unione cristiano democratica della Merkel e del probabile prossimo cancelliere Armin Laschet – dai liberali della Fdp e dall’estrema destra AfD. Accettato il Recovery Plan come misura d’emergenza per il Covid, il timore è che ora diventi un sistema permanente di transfer di soldi. Per questo fra i politici conservatori si sollecita un ritorno ai vincoli del Patto di stabilità una volta che la crisi sanitaria sarà superata. Un chiaro monito in tal senso è arrivato di recente in un editoriale sul Financial Times dal presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble (Cdu), campione dell’austerità sin da quando era alle finanze. In caso di mancato rispetto delle regole si dovrà ricorrere a un nuovo meccanismo per indurre gli stati che le violino ad attenervisi, ha detto Schäuble, sottolineando un po’ pelosamente di essere sicuro però che Draghi vi si atterrà. I socialdemocratici della Spd e i Verdi, in corsa anche loro per la cancelleria con i candidati Olaf Scholz, attuale ministro delle finanze, e Annalena Baerbock, sono di altro avviso: niente più fissazione sul dogma dell’austerità, e accento sugli investimenti. Le chance di una loro vittoria alle urne il 26 settembre e di formare un governo senza la Cdu sono però scarse.

“Molto dipenderà dal nuovo governo tedesco. Io prevedo che non avremo un governo forte. Probabilmente sarà Laschet il nuovo cancelliere ma anche nell’ipotesi – remota dopo il flop della candidata dei Verdi Annalena Baerbock per il curriculum abbellito, il sospetto di plagio in un libro e altre varie sciatterie – di una coalizione semaforo (rosso-verde-giallo) con Olaf Scholz (Spd) o la Baerbock, sarà un governo ancora più debole molto condizionato dalle ale estreme a destra (AfD) ma anche a sinistra (Linke)”.

“Se Laschet diventa cancelliere il binomio costituito finora da Schäuble-Merkel passerà a Laschet-Merz (Friedrich Merz, esperto di finanza, candidato alla cancelleria battuto per un soffio da Laschet, e molto forte nell’ala conservatrice Cdu). Sia che Merz diventi il nuovo ministro delle finanze, sia che diventi capogruppo al Bundestag (nel caso alle finanze ci andasse il Verde Robert Habeck), ci sarà uno scontro nel governo sulla Schuldenunion, un’Unione del debito: il partito dei nemici dell’inflazione sarà più forte. Ciò renderà le cose più difficili per Draghi. L’inflazione e la politica dei debiti saranno oggetto della campagna elettorale”. Altro tema dominante sarà la sostenibilità: se i Verdi entreranno al governo (ma per loro Lucke prevede un tonfo sotto il 20%) l’accento sarà su una politica preventiva, interventista dello Stato su ambiente, clima, salute. Se sarà la Cdu-Csu a guidare il governo, “l’accento sulla sostenibilità andrà in senso neoliberale o neoconservatore, si sposterà sull’economia, su uno Stato snello, semplificato, e allora non vedo quale possa essere un ponte verso l’Italia. Ma in definitiva è decisiva la politica in Italia: la disponibilità della Germania aumenterà se si vede che si fa una politica ecologica sostenibile e di ragionevoli investimenti e riforme di struttura su giustizia, fisco, digitale, competizione, innovazione, burocrazia. Altrimenti si rafforzerà la fazione dei falchi contrari a fare debito”.

Le forze centrifughe in Europa come Polonia e Ungheria, le spinte da destra e lo euroscetticismo aumenteranno la pressione, molto dipenderà da come Draghi e l’Italia si comporteranno. Improbabile che si arrivi a una Schuldenunion: posso immaginare piuttosto che si continuerà a traccheggiare. “Direi che decisivo sarà come si muove il governo in Italia, da come saprà gestire le risorse in arrivo: in un certo senso sarebbe auspicabile che Draghi prendesse un ruolo importante in Europa, ma cruciale in primo luogo è se riuscirà a portare l’Italia sulla strada giusta”. 

In caso contrario, se la gestione dei fondi del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, dovesse fallire, l’idea di un Draghi ‘dominus’ in Europa rischierebbe di rimanere un pio desiderio.

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