La Cancelleria, facciata principale
IL FOGLIO 28 Agosto 2022
Berlino. Non è passato neanche un anno dalla sua elezione, e il volo spiccato ad ali dispiegate da Olaf Scholz rischia di finire in picchiata. Il cancelliere non ne azzecca una e tutto quello che fa, anche le cose positive, si converte in negativo. La parola magica della sua campagna elettorale, che gli ha consegnato, anche se di misura, la vittoria sulla Cdu-Csu e lo ha issato a dicembre alla cancelleria, era “rispetto”. Una cultura del rispetto verso i cittadini, gli interlocutori e gli avversari. Un brutto scandalo dai contorni di thriller finanziario, e che potrebbe finire male per lui, lo mette ora alle strette e imprime alla parola rispetto il sapore di farsa. A peggiorare la sua immagine, ultimo della serie, un incidente diplomatico con Israele durante la visita a Berlino di Abu Mazen. In conferenza stampa, il leader palestinese ha accusato Israele di avere compiuto “50 olocausti” ai danni dei palestinesi, con Scholz imbarazzato ma impassibile accanto, che alla fine gli ha stretto pure la mano. Ne è nato un putiferio che ha costretto Scholz e il portavoce a metterci una pezza con dichiarazioni e tweet di distanziamento e condanna delle parole del leader palestinese. E poi ci sono i sondaggi, che danno Scholz quarto nella squadra di governo dopo i tre principali ministri verdi: il vicecancelliere e ministro dell’Economia, Robert Habeck, la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, e il ministro dell’Agricoltura, Cem Ödzemir.
La colpa è attribuita a una pessima politica di comunicazione del suo apparato, e a un ancora peggiore comportamento personale che sembra confermare tutti i difetti di carattere da sempre rinfacciati a Scholz durante tutta la sua carriera, prima ancora di diventare cancelliere: arrogante, glaciale, anaffettivo. Da cancelliere, Scholz non sa parlare al paese, si esprime a monosillabi credendo di essere spiritoso ma risultando invece solo supponente. Non sa trovare le corde empatiche per coinvolgere i tedeschi, tanto più in tempi difficili come questi in cui si chiedono grandi sacrifici: dal caro bollette alla crisi energetica, dall’inflazione galoppante ai razionamenti del gas dietro l’angolo con l’inverno, fino agli strascichi della pandemia che rischia di riservare brutte sorprese in autunno. Vero è che il cancelliere socialdemocratico è stato catapultato alla guida del paese dopo 16 anni di placido “regno” di Angela Merkel – e per chiunque subentrare alla cancelliera Cdu sarebbe stata un’impresa. Vero anche che si è trovato a gestire un evento senza precedenti come la guerra in Ucraina, che ha dovuto fare i conti con una squilibrata dipendenza energetica dalla Russia, di cui però la Spd al governo con la Merkel era corresponsabile e ben lieta, e che, per avere una maggioranza, ha dovuto mettere su il primo governo semaforo nella storia della Germania fra alleati in parte agli antipodi come socialdemocratici, verdi e liberali. Ma è anche vero che Scholz c’ha messo il suo carico personale di errori, come la disastrosa politica di forniture militari all’Ucraina: promesse, ritardi, e consegne col contagocce.
La Cancelleria, lato sulla Sprea
I sondaggi in Germania non sono così determinanti come altrove, i governi non si dimettono sulla demoscopia ma alla fine della legislatura. Ma parlano comunque da mesi una lingua chiara: il governo non ha la fiducia dei tedeschi e il cancelliere è considerato inadeguato. L’ultimo indica che il 62 per cento è scontento di Scholz, contro il 25 per cento soddisfatto, e il 65 per cento è scontento del governo, contro il 27 per cento. Se poi il cancelliere venisse eletto con voto diretto, Scholz non sarebbe cancelliere: finirebbe al terzo posto con il 18 per cento, dietro al vicecancelliere verde Habeck (25 per cento), e al leader dell’opposizione Cdu, Friedrich Merz (19 per cento). E se domani si votasse, la Cdu-Csu, da mesi in testa nei sondaggi, vincerebbe con il 28 per cento (24,1 alle elezioni a settembre 2021), seguita dai verdi al 21 per cento (14,8 per cento) e al terzo posto dalla Spd al 18 per cento (25,7 per cento). Ai passi falsi caratteriali – che per lo più vengono visti dai media con lenti bonarie sotto la rubrica, che ci vuoi fare, Scholz è fatto così – si è aggiunta questi giorni la storiaccia in odore di corruzione e clientelismo della frode bancaria cum-ex, che si trascina da anni e ha assunto ora le dimensioni di uno dei peggiori scandali finanziari della Germania con connotati di giallo politico. Vi è coinvolto, anche se finora non è indagato, lo stesso Scholz nei panni di ex borgomastro di Amburgo (2011-2018), cioè capo del governo del Land, poi di ministro delle Finanze federale e vicecancelliere nell’ultimo governo Merkel (2017-2021) e, ora, da cancelliere nella cui veste è stato interrogato da ultimo da una commissione di inchiesta del Parlamento di Amburgo lo scorso 19 agosto, e non si escludono seguiti.
Si tratta dell’affaire cum-ex, la questione cioè se l’allora governatore Scholz e altri politici Spd abbiano fatto pressioni fra il 2016 e il 2017 sulle autorità finanziarie del Land per evitare alla banca privata Warburg di pagare tasse al fisco regionale per un volume di 47 milioni di euro. Cum-ex, dal latino azioni con o senza diritto al dividendo, era un sistema, praticato peraltro in tutta Europa, che permetteva ai grossi clienti di approfittare di una lacuna legislativa ed evadere e farsi rimborsare dal fisco denaro mai versato. In pratica gli investitori coinvolti (grandi istituzioni come fondi di pensioni, banche, ecc.) ricevevano rimborsi per imposte mai pagate del 25 per cento sul reddito dei capitali facendo circolare fra tre differenti soggetti le azioni di una società quotata in Borsa. Ciò era possibile per evitare una doppia imposizione quando i dividendi erano tassati anche come guadagno: altri investitori acquistavano i titoli per farsi rimborsare l’imposta sul reddito di capitali col risultato che così la tassa veniva rimborsata più volte a danno delle casse dello stato. La Taz, il quotidiano della sinistra berlinese, parla senza mezzi termini di gioco delle tre carte, di truffa sistematica e furto costato in totale allo stato tedesco 10 miliardi di euro. Nel caso della Warburg, la cifra di 47 milioni che avrebbe dovuto pagare per effetto dei traffici cum-ex del 2009, sarebbe caduta in prescrizione tributaria nel 2016. Il sospetto, oggetto ora della commissione di inchiesta, è che l’allora governo regionale – il governatore Scholz e il ministro delle Finanze Peter Tschentscher, poi subentrato a Scholz come governatore, entrambi Spd – abbiano aiutato la banca amica del partito, che navigava in cattive acque, ad aggirare il fisco nel timore che potesse fallire con conseguente perdita di posti di lavoro. Si sa che Scholz, da governatore, ebbe tre incontri con i proprietari della banca, Christian Olearius e Max Warburg.
La Porta di Brandeburgo, monumento simbolo
Ma del contenuto non ricorda niente. Sta di fatto che subito dopo però l’istituto fu esonerato dal pagamento dei 47 milioni e poco dopo arrivarono da società vicine alla Warburg Bank donazioni a favore della Spd per un totale di 45.000 euro. Nel 2017 la banca avrebbe ripetuto la mossa e accampato il diritto a rimborsi per il 2010 di 43 milioni di euro. A quel punto però la cosa ha puzzato al naso di Wolfgang Schäuble, all’epoca ministro delle Finanze federale, che ha preteso dalla banca il versamento delle tasse correnti e arretrate per un totale di 155 milioni di euro. Nel frattempo la pratica cum-ex è stata dichiarata in Germania illegale e perseguibile con sentenza del 28 luglio 2021 dalla corte federale di giustizia (Cassazione). Che Scholz, quale capo del governo regionale, non abbia saputo nulla di una vicenda così importante per l’economia del Land pare strano e poco credibile. E ancora meno credibile che non si ricordi nulla di nulla, tanto più che è famoso per avere una memoria di elefante. A riaccendere il caso è stata la recente scoperta di 214.800 euro in contanti in una cassetta di sicurezza appartenuta a un ex pezzo grosso della Spd di Amburgo, e ex deputato al Bundestag (portavoce della commissione bilancio), Johannes Kahrs, noto faccendiere con legami con il mondo delle banche e con l’Azerbaigian. All’epoca era vicino anche a Scholz e aveva avuto diversi colloqui con i responsabili della Warburg Bank. Si ipotizza quindi che Kahrs, ritiratosi dalla politica nel 2020, possa avere ricevuto dalla banca una mazzetta per l’intercessione per l’esonero delle tasse, ma non ci sono prove, solo molti sospetti e indagini in corso (è indagato per favoreggiamento). Scholz ha sempre negato ogni coinvolgimento e in una precedente audizione parlamentare aveva definito una grande porcata le transazioni cum-ex. Ma all’epoca, più di un anno fa, era solo candidato Spd alla cancelleria.
Adesso ha dovuto rispondere al fuoco incrociato dei parlamentari da cancelliere. Davanti alla commissione d’inchiesta il 19 agosto ha ribadito la sua estraneità ai fatti, di non esserne stato assolutamente a conoscenza e, soprattutto, si è trincerato dietro una sfilza di non so o non ricordo. Troppi per i media e i politici dell’opposizione che si sono sfogati a chiederne chi le dimissioni, chi a dare più o meno direttamente del bugiardo al cancelliere. La Bild si è sbizzarrita a contare i tanti vuoti di memoria: oltre venti smemoratezze in tre ore e mezzo di graticola, e oltre 50 calcolando tutti e due gli interrogatori. Alle 14.37 parte il primo “non ho idea”, “non lo so più”, alle 14.40 “escluso che io possa ricordamelo” e alle 14.49 “non ricordo fatti concreti”, eccetera. Seguono vari “non posso dirvi nulla di più di quanto ho detto finora”, “non ho memoria né della prima né della seconda cosa che avete chiesto”. Vuoto di memoria anche alle domande sul traffico di email, incluse quelle del suo account privato, cancellate: “Sono contento ci sia ancora l’agenda degli impegni se no non potrei nemmeno confermare oggi i miei appuntamenti”, ha detto beffardo. Quanto alle sue email, Scholz ha dichiarato di avere un account privato ma “anche lì cancello le cose subito”. Scena muta anche su Kahrs e il tesoretto in contanti: non ne so nulla e l’ultimo colloquio con lui è stato “un’eternità fa”. La sua reticenza ha fatto spazientire i parlamentari: arrogante, incomprensibile, inaccettabile, “non gliene frega niente della perdita completa della credibilità”, i commenti. Fatto è però che nei suoi confronti, come anche del governatore Tschentscher, non è stata trovata una “smoking gun”: senza la pistola fumante che lo incastri, Scholz è salvo. Se invece saltasse fuori, si giocherebbe la cancelleria. “E’ incredibile – ha protestato in commissione – un’infinità di audizioni, documenti e sempre un solo risultato: non ci sono prove che ci sia stato un coinvolgimento della politica”. In apertura Scholz aveva rilasciato anche uno statement che aveva irritato i parlamentari perché ritenuto una prevaricazione del loro mandato: “Esprimo la sommessa speranza che le supposizioni e le insinuazioni abbiano fine, essendo prive di qualsiasi fondamento”. I silenzi o le smemoratezze dei politici sono famosi e una consuetudine del potere: Helmut Kohl ne ha fatto ampiamente ricorso, a volte anche in barba alla legge, e anche la Merkel non era il massimo della loquacità. Una cosa però di lei non si può dire: che sia mai stata coinvolta in uno scandalo politico o economico: assoluta la sua correttezza e onestà. Il potere le bastava e la soddisfaceva nel pieno nel suo esercizio: di denaro, ville, lusso, sfarzo non ha mai avuto bisogno, anzi, la modestia e la normalità erano la sua cifra.
Dal governo è arrivato un assist del ministro delle Finanze liberale, Christian Lindner: “Ho sempre conosciuto Scholz, che fosse all’opposizione, o ora al governo, come una persona integra e non c’è ragione di dubitarne, ha la nostra piena fiducia”. Il caso comunque non è chiuso, dall’opposizione si ipotizza una terza audizione e forse un coinvolgimento del Bundestag. L’ex deputato della Linke, l’italo-tedesco Fabio De Masi, ha sempre dato filo da torcere a Scholz sullo scandalo cum-ex e ora gli ha dato del bugiardo dicendo che in Germania “non ci possiamo permettere un cancelliere Pinocchio”. E il capo dell’opposizione e leader Cdu, Friedrich Merz, lo ha sfiduciato senza mezzi termini sostenendo che è impossibile che Scholz non si ricordi niente di un fatto così grave nella sua stessa città: “Devo purtroppo dirlo chiaramente: non credo a una parola di quel che ha detto il cancelliere”. Per il sito autorevole The Pioneer, Scholz si è montato la testa con una overdose di dopamina dopo la vittoria del 26 settembre ed è bene si ricordi che le elezioni non le ha vinte lui ma è Armin Laschet, candidato Cdu-Csu, che le ha perse. Spiegel invece azzarda un’ipotesi ardita: che Scholz piaccia ai tedeschi più di quanto dicano i sondaggi. Prova ne sarebbe la lunga fila di gente davanti alla cancelleria per incontrarlo alla recente giornata delle porte aperte. Uno Scholz insolitamente rilassato ha risposto alle domande, anche dei più piccoli (un bambino voleva sapere se è ricco e lui, sorridendo, gli ha risposto di sì sapendo quanto di media guadagna la gente), e ha pure ammiccato divertito a due attiviste del movimento femminista ucraino Femen, sfuggite ai controlli di sicurezza, che a seno nudo protestavo per “l’appoggio vergognoso” della Germania a Putin e reclamavano l’embargo del gas con vistose scritte in nero sul seno.
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