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INTERVISTA SPERANZA SCAPPUCCI DURANTE RECITE DI TRAVIATA A STAATSOPER
Berlino 21 Gennaio 2024 – Dopo il debutto due anni fa con Elisir d’Amore di Donizetti, Speranza Scappucci è tornata alla Staatsoper a Berlino con La Traviata di Verdi, incassando il tutto esaurito per tutte le cinque recite, l’entusiasmo del pubblico e gli elogi della critica. La produzione era quella collaudata di Dieter Dorn, l’orchestra la magnifica Staatskapelle di Daniel Barenboim, cui succede dal 2025 Christian Thielemann, e nei ruoli principali Pretty Yende (Violetta), Paolo Fanale (Alfredo Germont) e Amartuvshin Enkhbat (Giorgio Germont). Intesa oliata con l’orchestra e accoglienza calorosa per la direttrice romana, destinata ad essere sempre la prima italiana a dirigere nei principali teatri del mondo. (All’Opera di Roma ha diretto due volte: Così fan tutte di Mozart e La Sonnambula di Bellini).
La sua casa è a Vienna ma questa e la prossima stagione sono un carosello di impegni fuori.
“In effetti: Don Pasquale di Donizetti all’Opera Garnier a Parigi, Fille du Regiment al Lyric Opera di Chicago, il concerto per i poveri offerto dal papa in Vaticano a dicembre, La Traviata ora a Berlino. Tutto il 2024 sarà all’insegna dell’anno pucciniano nei 100 anni della morte: a febbraio a Montecarlo con Gianni Schicchi di Puccini e Cavalleria Rusticana di Mascagni. A marzo-aprile La Rondine al Met a New York (dove ha debuttato nel ’22 con Rigoletto). A maggio Turandot all’Opera di Washington con la prima mondiale di un nuovo finale musicale del compositore cinese americano Christopher Tin. Poi Madama Butterfly all’Opera Bastille a Parigi con la regia di Bob Wilson. A dicembre poi dirigo La Boheme al Covent Garden a Londra”. Nel prestigioso teatro londinese la Scappucci è stata poi chiamata come direttore ospite principale dall’25-’26, prima donna nominata in questo ruolo, rivestito l’ultima volta da Daniele Gatti nel 1997. Attualmente il Covent Garden è diretto da Anthony Pappano, cui succederà nel ’25 il ceco Jacob Hrusa, mentre Pappano andrà alla London Symphony Orchestra.
Applausi a sipario calato dopo esecuzione Traviata
Una carriera fulminante da maestro collaboratore al podio nel 2013: qualche pentimento?
“No, sono felice, anche se mai mi sarei aspettata di avere tanto successo. Per me è stato un passaggio naturale, cominciato nei teatri dove avevo già lavorato. Da salto nel buio a un vortice di ingaggi e successi. Ma prima c’era stata una lunga gavetta e il match di fortuna e tempismo ha fatto il resto, come il debutto alla Scala nel ’22 per una sostituzione: era il momento giusto, non prima. Fuori dal podio c’è molto studio”.
Dirige in massima parte repertorio italiano, quali sono i compositori più congeniali?
“Ho affinità musicali con il Belcanto, Verdi, il verismo, Puccini, ma amo molto anche Mozart e spazio in altri repertori come quello russo, ho diretto Eugen Onegin di Ciaikovski, e I dialoghi delle carmelitane di Poulenc. Nel sinfonico un po’ di tutto, ma quest’anno faccio solo opera”.
Lei appartiene a una nuova generazione, il mondo della classica è molto cambiato, per direttori e pubblico: ci sono i media, i social. Quale è la sua percezione del cambiamento?
“È un mondo tutto spettacolarizzato, di immagine, il fattore social influisce, forse ne accelera la diffusione, prima era focalizzato sui grandi nomi. Oggi la tecnologia promuove la diffusione e l’accesso a una maggiore presenza di giovani direttori, uomini e donne, alla contemporaneità. La società si evolve e quindi anche il mondo della musica. Ma resta una professione che richiede tanto studio. Anche il pubblico è cambiato, ha più possibilità di essere coinvolto, c’è una crescita perché l’accesso facilita a capire cosa è la musica. Certamente questo andrebbe affiancato dall’insegnamento della musica nelle scuole superiori e non solo su YouTube. Le lezioni La gioia della musica che facciamo su Rai tre sono un esempio di come si può seminare un piccolo seme, ho avuto molti riscontri positivi nelle mie pagine social”.
Lei vive e lavora prevalentemente all’estero: che differenze riscontra fra musicisti e pubblico?
“Dal punto di vista lavorativo i latini sono più espansivi, alle prove c’è più vivacità. Nel mondo anglosassone sono più riservati. In America, negli Usa e anche in Germania i musicisti sono molto silenziosi. Anche il pubblico cambia da paese a paese”.
Un altro fattore che ha cambiato i comportamenti, specie negli Usa, è il fenomeno #metoo.
“Sì, è un fenomeno che si percepisce molto, specie nei paesi anglosassoni, dove in teatro ti danno un opuscolo con istruzioni in tema di inclusività, correttezza politica, comportamento verso i collaboratori. Di conseguenza non ci sono più zone grigie. Fortunatamente! Attenermi a questo codice di comportamento mi riesce facile perché sono per natura una persona non aggressiva, a cui piace ascoltare gli altri”.
Allora sull’oziosa questione direttore/direttrice e maestro/maestra, lei conferma il femminile?
“Sì, direttrice e maestra, anche perché sono parole che già esistono in italiano, ma se mi chiamano al maschile mi va bene lo stesso, lascio piena libertà di scelta e non ne faccio una questione ideologica”.