Germania: antisemitismo e ultradestra, la paura di una nuova Weimar

                                                  Dimostrazione pro Israele dopo il 7 ottobre

IL FOGLIO 3 Febbraio 2024

Weimar ante portam? La domanda è legittima e rimbalza nel dibattito in Germania con posizioni che oscillano fra realismo e allarme. La recrudescenza, dopo la strage del 7 ottobre in Israele, dell’antisemitismo in Germania e l’impennata dell’ultradestra di AfD (Alternative für Deutschland), primo partito in tre Länder a est e secondo a livello nazionale, ha sollevato nei media la domanda su uno scenario come quello della Repubblica di Weimar, la fragile democrazia affondata nel 1933 con l’avvento di Hitler e l’inizio dei 12 anni più bui della storia tedesca. Molti storici si pronunciano su Weimar e in generale dicono che no, al momento questo pericolo non c’è, però aggiungono un grande “ma”: non ci sono le condizioni economiche, politiche e sociali ma le analogie fra ieri e oggi sono molte e impressionanti. Alla solidarietà iniziale a Israele dopo l’attacco terroristico di Hamas, ha fatto seguito una lunga serie di episodi antisemiti: case e negozi imbrattati con la svastica e la stella di Davide, scritte come “Juden raus” (fuori gli ebrei), bandiere di Israele bruciate, attentati a istituzioni ebraiche, attacchi verbali, aggressioni fisiche, Memoriale dell’Olocausto vandalizzato e numerose manifestazioni pro Palestina con slogan anti Israele nelle principali città. Di questo clima ha approfittato l’ultradestra di AfD, che in generale cavalca la protesta e lo scontento popolare, e cresce nei sondaggi. Dei giorni scorsi poi le rivelazioni della piattaforma progressista di Essen, Correctiv, di un incontro segreto a novembre a Potsdam fra politici AfD ed esponenti della galassia radicale bruna, identitari e neonazi, per discutere un piano di “re-migration”, ovvero espulsione e rimpatrio di milioni di profughi. La notizia ha creato allarme nell’opinione pubblica e nel governo che sta esaminando la possibilità di vietare il piccolo partito neonazista Npd, ribattezzato Heimat, patria.

La Corte costituzionale ha deciso di tagliargli il finanziamento pubblico e il governo del cancelliere Olaf Scholz valuta se chiudere il rubinetto dei fondi pubblici anche all’AfD, il che avrebbe ben altra portata. I piani di reimmigrazione dell’AfD hanno mobilitato i tedeschi che da giorni scendono in piazza in tutta la Germania, nelle grandi città come nei paesi, per protestare contro le fantasie deliranti dell’AfD e in difesa della democrazia: Berlino, Monaco, Amburgo, Colonia, Düsseldorf, Magonza, Bielefeld. In tutto, da oltre una settimana, milioni di tedeschi sono sfilati in strada per far sentire la loro voce. Per il vice cancelliere e ministro dell’Economia, il verde Robert Habeck, i piani di “deportazione” sarebbero un disastro per la Germania: “Sono non solo disgustosi ma anche un pericolo per il nostro paese”, ha detto: “Chi anche solo alla lontana propaga tali idee vuole distruggere la nostra economia”.

                                                              La cancelleria a Berlino

La domanda su un rischio Weimar rimbalza nei media: “Nazisti al potere?”, titola Focus precisando che no, “il parallelo col 1933 è sbagliato e aiuta solo l’AfD”. La storica Verena Wirtz dice al settimanale che “siamo molto lontani da Weimar”. “Certo, anche oggi ci sono problemi ma la gente allora viveva ben altre crisi esistenziali e credeva che solo un cambio radicale potesse metter fine all’emergenza”. Nel 1923 c’era l’iperinflazione, un aumento dei prezzi di oltre il 50 per cento, “le famiglie avevano perso tutti i risparmi e non sapevano come pagare l’affitto e riscaldare la casa o cosa mangiare”. Oggi non è così. Nell’immaginario tedesco la Repubblica di Weimar sta fra utopia e catastrofe. Utopia perché fu il primo esempio di democrazia liberale, con un parlamento e una costituzione: era il risultato della Prima guerra mondiale e degli eventi che seguirono, la rivoluzione di novembre e l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II con la proclamazione, il 9 novembre 1918, della prima Repubblica tedesca (anche se fu conservata la dicitura di Reich tedesco). Catastrofe per come è finita, in un’agonia istituzionale culminata nell’avvento del nazismo. Viene chiamata Repubblica di Weimar perché è lì che si riunì l’assemblea nazionale che scrisse la nuova costituzione: Weimar, la cittadina della Turingia che ospitò Goethe e Schiller, i grandi dioscuri tedeschi di cui conserva il lascito nell’archivio a loro intitolato, dal 2001 parte del patrimonio universale dell’Unesco. La Costituzione del Reich di Weimar entrò in vigore il 14 agosto 1919. I primi anni di vita della Repubblica furono caratterizzati da turbolenze: scontri e attacchi di estremisti di destra e sinistra, governi instabili, le ripercussioni della Prima guerra mondiale e del Trattato di Versailles che impose umilianti condizioni alla Germania, l’iperinflazione, omicidi politici e tentati putsch. Seguì una fase di stabilità e ripresa economica fino alla crisi del 1929 che dissestò l’economia e affossò la fragile democrazia unitamente ai crescenti disordini, all’avanzata del partito nazionalsocialista Nsdap e le promesse messianiche di Hitler. Lo scontento generale si materializzò alle elezioni del 31 luglio 1932 dove l’Nsdap strappò il 37 per cento. Il 30 gennaio 1933 Hitler divenne Reichskanzler e per la Repubblica di Weimar e il sistema parlamentare fu la tomba.

Interpellato al telefono, il professor Ulrich Schlie, docente di Scienze politiche all’Università di Bonn, osserva che “nella Repubblica federale è sempre valso il principio che Bonn (la vecchia capitale) non è Weimar e che si era imparata la lezione di Weimar e della Costituzione. Ma, aggiunge, “mai finora una minaccia alla democrazia come quella alla fine della Repubblica di Weimar è stata così forte come oggi nella Bundesrepublik. L’avanzata dell’AfD è stata a lungo sottovalutata, era impensabile che un partito con un rapporto ambiguo col nazismo ottenesse un tale consenso: questo è stato il grande errore all’origine della situazione odierna e del calo di fiducia nella democrazia parlamentare, che dovrebbe essere contrastato dalla politica in modo molto più conseguente di quanto fatto finora”.

La politica discute anche di rafforzare l’indipendenza della Corte costituzionale per scongiurare colpi di mano dell’AfD. Per modifiche legislative serve una maggioranza dei due terzi del Bundestag, quindi anche dell’opposizione Cdu-Csu. La disponibilità esiste e sono al vaglio tutti i pro e i contro. Non si parla invece di vietare l’AfD, iter complicato e già fallito in passato con l’Npd a causa degli alti paletti imposti dalla corte di Karlsruhe, memore degli abusi del nazismo, in tema di divieto dei partiti. Per il giurista Hendrik Cremer, un divieto dell’AfD è invece necessario: “Potrebbe arrivare il momento in cui l’AfD sarà troppo forte per essere fermata”, ha detto al Tagesspiegel. Le dimostrazioni “sono un segnale importante ma non basta, politici e media non hanno capito la rotta dell’AfD: già nel 2018 Höcke parlava di un grande “programma di reimmigrazione”, bisogna puntare a un divieto del partito”. Biörn Höcke, leader della AfD in Turingia ed esponente della corrente radicale Flügel (ala), è una figura di primo piano nel partito. Usa un vocabolario mutuato da quello nazista e le sue sparate nostalgiche si sprecano. Dal 2020 è osservato dall‘Ufficio federale per la difesa della Costituzione (servizi interni). La stessa AfD, in quattro Länder dell’est (Brangeburgo, Turingia, Sassonia e Sassonia-Anhalt), è sotto osservazione dei servizi, ma non basta per un divieto. Alle regionali, a settembre, l’AfD potrebbe ottenere più di un terzo dei voti e lo scenario di un Biörn Höcke governatore non è fantapolitica. Il quotidiano della sinistra berlinese Taz incalza sul divieto: bene le dimostrazioni, ma le petizioni non bastano. “Anziché rallegrarsi della mobilitazione, c’è chi si lagna e dice che non è corretto vietare l’AfD o togliere a Höcke un paio di diritti fondamentali: questa gente ha più paura di discriminare i neonazisti che di essere dominata da loro? O pensa che sarebbe l’ultima a essere deportata”? Alla domanda di Stern se la democrazia sia in pericolo, il politologo di Tubinga Floris Biskamp risponde “sì”, anche se non come a Weimar. “La democrazia non significa solo votare ogni quattro anni, significa anche che vengano garantite la libertà e l’uguaglianza di tutti”. E questo principio, come mostrano bene le rivelazioni di Correctiv, viene attaccato dall’AfD. “In tal senso, sì, la democrazia è in pericolo ma non come nella Repubblica di Weimar, piuttosto come in Ungheria e in Turchia”.

Lo spettro di Weimar viene evocato in Germania in accoppiata con l’Angst, la paura, concetto topico entrato anche nel lessico degli storici e sociologi anglosassoni come “the German Angst”. Entra in scena nei periodi di crisi, di insicurezza sociale e instabilità politica, di disoccupazione, inflazione, e di guerra. Lo fu in tempi non lontani quando la Bundesrepublik segnò con Gerhard Schröder il record nel dopoguerra di disoccupazione (5 milioni): il malumore e la paura erano diffusi e la Germania, altro che locomotiva, era il “malato d’’Europa”. Il cancelliere socialdemocratico ebbe però un colpo di coraggio e varò una drastica di riforma del mercato del lavoro, l’Agenda 2010, che spaccò sì la Spd e gli costò la cancelleria, ma rimise in piedi la Germania, a tutto beneficio di Angela Merkel che a settembre 2005 vinse le elezioni, ne raccolse poi tutti i frutti e rimase cancelliera per 16 anni, quattro mandati, seguiti da una sua rinuncia a candidarsi per il quinto. Weimar è di attualità: le condizioni sono diverse rispetto a un secolo fa, ma il sentimento, l’umore dei tedeschi e il diffuso malcontento hanno alimentano la paura e il pessimismo sui cui l’AfD lucra. La pandemia, la crisi energetica, la transizione climatica, l’emigrazione, il carovita, la guerra in Ucraina con un milione di rifugiati, i piani di riformare la Bundeswehr, dotarsi di un esercito efficiente e riarmarsi, e il conflitto in Israele: quanto basta per togliere il sonno ai tedeschi. In più, un governo che annaspa e su cui si scommette che salti prima della fine della legislatura, un cancelliere affetto da incomunicabilità, la recessione, gli scioperi a catena (agricoltori, ferrovieri, trasporti), tutto rafforza la percezione che la Germania non sia più la stessa, che stabilità e benessere siano miraggi del passato. I sondaggi restituiscono un quadro depresso dell’umore nazionale: i tre partiti della coalizione semaforo (Spd, verdi e liberali) in calo e senza una maggioranza nel paese, l’opposizione Cdu-Csu sempre prima con ampio distacco (e talora un gradimento superiore a quello dei tre partiti di governo assieme). L’ultimo sondaggio del 30 gennaio indica la Spd al 15 per cento, i verdi al 14 e i liberali al 3 (sotto la soglia del 5 per cento) e la Cdu-Csu al 32 per cento. Per la prima volta, dopo le rivelazioni di Correctiv e l’ondata di proteste nazionali, l’AfD risulta penalizzata, al 19 per cento, 2,5 punti in meno rispetto al 21,5 che aveva. Ma resta sempre il secondo partito a livello nazionale e il primo nei tre Länder dell’est dove si vota a settembre e dove potrebbe assumere responsabilità di governo: Sassonia (34 per cento), Turingia (33,3), Brandeburgo (29,8). Probabilmente per effetto delle massicce proteste, in Turingia è stato possibile impedire l’elezione di un presidente del distretto amministrativo di Saale-Orla dell’AfD: al ballottaggio il candidato Uwe Thrum è stato sconfitto da quello Cdu, Christian Herrgott (47,6 per cento contro 52,4). Al primo turno però Thrum aveva ottenuto il 45,7 per cento (Herrgott il 33,3). Comunque, c’è stato un sospiro generale di sollievo per il risultato, visto come una vittoria. Qualche osservatore ha però fatto notare che il candidato cristiano-democratico ha vinto al ballottaggio solo perché è stato votato da tutti gli altri partiti assieme, altrimenti a vincere sarebbe stato il concorrente AfD.

                                                                      Berlino dall’alto

La colpa viene spesso addossata al governo che non fa il suo lavoro e genera frustrazione e rabbia. “La nascita di partiti di protesta – spiega il professor Schlie – ha sempre a che fare con le debolezze dei partiti politici. Forse in Germania i partiti sono troppo potenti e condizionati dalla tendenza, in sé positiva dei tedeschi, di fare compromessi: troppi piccoli comuni denominatori, la politica deve essere distinguibile ma non al costo di demonizzare l’avversario. Se non prende sul serio le paure della gente diventa arrogante”. “I partiti democratici dovrebbero interrogarsi sulle ragioni che spingono gli elettori a voltare le spalle alla politica. Si dovrebbe far capire bene il danno per la Germania che deriva dai successi elettorali di un partito che ha un rapporto ambiguo col nazismo: e su questo punto ci sono grandi carenze dell’educazione e della comunicazione politica”. La democrazia tedesca è abbastanza forte? “Io nutro una fiducia fondamentale nelle istituzioni, nella nostra democrazia e nella ragione che i tedeschi abbiano imparato abbastanza dalla storia”.

Leggi Articolo IL FOGLIO 3.2.2024

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.